Li hanno chiamati «Ragni» associandovi poi «della Grignetta» per segnare il luogo di appartenenza. Hanno scritto la storia dell'alpinismo a partire dalla metà del Novecento, proseguendo idealmente la cordata di quei lecchesi che, già tra le due guerre mondiali, dispiegarono le loro energie sull'intero arco alpino. I superstiti di quella generazione, falcidiata dal conflitto, diventarono «Ragni» e con loro la passione lecchese per le montagne ha conosciuto il suo coronamento, sancito dalle grandi spedizioni extraeuropee. E, a cominciare da allora, «Ragni» ha voluto significare una scuola alpinistica di assoluta grandezza.
Se ne accorse, tra i primi, Emilio Comici, uno dei «padri» dell'alpinismo, arrivato a Lecco pungolato da un'altra «grande», Mery Varale. Comici si impressionò, oltre che per le qualità tecniche di Cassin e soci, anche per il fatto che salivano in roccia d'inverno. «È che nella mattinate di gennaio e febbraio – gli spiegò Cassin – molti di noi si scaldano più sulle rocce che non a casa dove il fuoco è spento». Poi, da quelle rocce che valevano più di una stufa, è stata una scalata inarrestabile: Lavaredo, Civetta, Badile, Monte Bianco, McKinley, Fitz Roy, Antartide, Jirishanca, Gasherbrum. Tita Piaz, che li aveva visti in Dolomiti, commentò: «Arrampicano come ragni». E la storia di quei ragazzi che già avevano fondato una scuola di alpinismo spartana per necessità – prima che «Ragni» si chiamarono infatti «Sempre al verde» – e formata da autodidatti diventò leggenda. Leggenda cresciuta anche grazie a Carlo Mauri che nel 1956 è in vetta al Sarmiento, nella Terra del Fuoco; alla vittoriosa spedizione himalayana sul Gasherbrum IV nel 1958; al McKinely in Alaska nel 1961; all'Uruashraju in Perù nel 1966; al Cerro Torre nel 1974 e al Fitz Roy nel 1976, che consolidano il feeling con le montagne sudamericane alle quali si legano i nomi di una nuova generazione con Luigi Airoldi, Giuseppe Lanfranconi, Gigi Alippi, Annibale Zucchi e Casimiro Ferrari.
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